Dobbiamo far attenzione,
alle aspettative degli altri che spesso fingiamo essere nostre ma in realtà non ci appartengono.
Provare a mettersi nei panni degli altri è un’operazione che pochi sanno fare.
I miei panni,
infatti, mi erano stati cuciti addosso
dai miei genitori ed io non avevo condiviso molte delle scelte che i genitori avevano
preso per me.
Li ho indossati come
un manichino per anni finchè qualcosa dentro di me non ha iniziato a premere.
C’era in me l’esigenza di trovare un mio stile, un mio
essere donna. Avevo bisogno di ritrovare me stessa.
Tutto si è fatto più
pressante a quarantacinque anni quando la mia vita mi è apparsa di colpo per
quello che era: un deserto in cui la “pianta di Caterina”, la mia pianta
interiore, non poteva fiorire.
Come nutrire quel deserto
che sentivo dentro e sbocciare?
Per tutta una intera settimana mi sentìi strana poi nel buio
tra le lenzuola finalmente piansi.
Ecco le lacrime
mandate da una “provvidenza” interiore che sa sempre cosa mi serve.
Ecco le lacrime che
bagnano la mia anima in fin di vita assetata di conoscersi.
Una improvvisa
tristezza mi ha fermato e mi ha separato dalla routine quotidiana.
Ecco le lacrime che mi hanno messo di fronte a me stessa.
Tutte quelle lacrime non sono state un semplice intoppo ad una carriera di successo,
come ha pensato mia madre.
Madre , che in buona
fede rivoleva subito indietro la sua figlia efficiente, a colpi di psicofarmaci.
Tutte quelle lacrime sono state un’occasione da cogliere al
volo per far rinascere la mia originalità, il mio essere unica ed
irripetibile.
Io infatti in quella
notte liberatoria ho avuto l’intuizione giusta:
Sparire.
Quel sabato mattina, fui svegliata da una specie di impulso improvviso che mi spinse ad alzarmi e a prepararmi per SPARIRE.
Misi un po’ di
canotte e dei pantaloni in una valigia e la lasciai cadere fuori dalla finestra.
Poi come se niente fosse andai in
cucina.
-
Come mai già sveglia Caterina? – disse mia
madre. – Oggi è sabato.
-
Sì, ma mi ero dimenticata di dirti che ho un
impegno, - risposi tutto d’un fiato, senza
sapere neppure ciò che dicevo.
-
Ah, e dove vai?
-
Da un’amica che abita un po’ lontano. Non
tornerò a pranzo.
Perché avevo parlato così? Io non
ho nessun impegno, con nessun’amica.
Eppure uscii, presi la valigia, salii in macchina e partii.
Mi sentivo tesa al massimo, desiderosa di arrivare alla mia meta, anche
se in quel momento non sapevo affatto di che meta si trattasse.
Sapevo solo che c’entrava il mio
pianto, che me ne sarei andata al mare, che lì mi aspettava finalmente qualcosa
d’importante.
Macinai chilometri su chilometri,
strada su strada, e mi pareva che qualcuno mi guidasse.
Seguivo l’impulso che mi aveva
spinto, quel mattino, ad alzarmi ed a mettermi in viaggio senza sapere
esattamente per dove.
Avevo perfino finto di ignorare
la domanda di mia madre, quando mi aveva chiesto in quale luogo preciso stessi
andando.
Non lo sapevo neppure io!
Arrivai al mare dopo qualche ora
Parcheggiai l’auto in una piccola
piazza che non avevo mai visto, poi mi avviai verso la spiaggia. Ormai la
stagione volgeva al termine e non c’erano quasi turisti. In particolare il
tratto di spiaggia dove mi trovavo era deserto. Sentivo il cuore in gola mentre
mi avviavo, con passi sicuri, e potevo vedere il mare, gli scogli, animata da
una sensazione di speranza, di gioiosa aspettativa.
Mi pareva addirittura di
riconoscere quei luoghi, pur sapendo che non vi ero mai stata prima.
Vidi un bel scoglio più grande
degli altri e mi arrampicai.
Arrivai sin quando l’acqua
incominciò a lambirmi le caviglie, avevo lasciato le scarpe in riva al mare.
Ero sorpresa.
Mi guardai attorno.
Mi issai sullo scoglio, chiusi
gli occhi, come in attesa.
Ad un certo punto vidi una donna
avanzare verso di me. Capelli corti, occhi neri figura magra.
-
Anche tu una turista ritardataria?
Quella voce mi fece sobbalzare.
-
No, sono qui solo oggi, od almeno credo …
diciamo turista improvvisata … -
balbettai.
La guardavo, stupefatta di tanta bellezza anzi direi eleganza tra quei lineamenti marcati, in preda
ad una emozione inspiegabile, col cuore che mi batteva all’ impazzata.
-
Ogni
mattina io vengo qui per ammirare
questo tratto di spiaggia e questo scoglio … e poi in realtà aspetto che si
avveri la leggenda ….
-
Come ? - trasalii
-
Non sai della leggenda? – disse sorridendo
felice di aver attirato la mia attenzione.
-
Quale leggenda?
-
Tempo fa, proprio all’ inizio della stagione, ero
venuta qui sola, ed un pescatore mi ha raccontato di una leggenda e diceva che
avrei incontrato qui la donna della mia vita, basta solo avere pazienza,
crederci ed aspettare perché questo sarebbe accaduto. Infatti non accade a tutti ma solo a chi ci
crede veramente ….
-
Ma cosa stai dicendo ? – dissi accompagnata da
una fragorosa risata!.
Ridemmo entrambe come se fossimo
amiche da sempre.
-
Piacere sono Tania
-
E io Caterina, piacere.
Ci stringemmo la mano . Sentivo
accanto a me una presenza forte, viva e rassicurante, pronta ad aiutarmi.
-
Allora non conosci la leggenda che si racconta
di quel scoglio?
-
No non la conosco …
-
La leggenda dei due amanti della scogliera, che sono morti qui, dicono per mano del marito di
lei che sessant’anni fa uccise entrambi
in seguito ad un attacco di gelosia. Un
uomo potente del tempo passato che non fu mai accusato di niente e che per
questo la loro morte fu sempre rimasta inpunita. Perlopiù viene considerata
solo una diceria. Eppure qualcuno ci crede davvero.
-
Proprio lì dove sei seduta tu ora. Poi
trascinati dalla corrente il loro corpo non è stato più ritrovato. Quando c’è
vento dicono che si senta ancora l’eco delle loro voci o meglio delle loro
grida qui tra gli scogli perché il loro spirito è rimasto qui nel luogo del
loro amore e luogo della loro morte. Quello spirito che fa si che chiunque si
sieda sopra quello scoglio riesca a guardarsi dentro ed a trovare il vero
amore.
-
E tu ci credi?
-
Io ? donna del ventunesimo secolo, ho voluto
crederci. Sarà che vivo nel passato, visto che sono una bibliotecaria e mi
occupo di antichi volumi; sarà che sono una persona sensibile ai misteri del
passato, ma … mi piace credere che sia così.
Ero frastornata, mi pareva di
vivere in un sogno.
Gli raccontai molto di me, della
mia fuga, del mio fidanzato che ormai non amavo più, delle mie sensazioni
strane, dei miei pianti , via via sino a quell’impulso che quel mattino mi
aveva spinta a mettermi in viaggio.
Lei mi sorrise e mi parlò anche
lei di se’, della sua solitudine e tristezza e delle sue fantasie.
Tania era una bella donna, dimostrava
qualche anno più di me e possedeva uno sguardo magnetico, che mi attraeva
terribilmente.
Parlammo molto, durante il
pomeriggio ed il giorno seguente ancora e poi il giorno dopo ancora.
Finalmente mi stavo liberando di
quel peso e di quelle catene che mi portavo dentro.
Finalmente parlando della mia vita arida come un
deserto ero riuscita a piangere di nuovo
e poi a ridere per rifiorire dentro.
Fuggire dai miei genitori, che avevano riposto su di me troppe
aspettative è stata la cosa giusta. Incontrare Tania e quel suo apparire e dileguarsi mi ha mostrato come le lacrime
stavano solo innaffiando il mio “terreno”.
Ora dopo tutti quei tramonti vissuti al mare con Tania e
tutti quei bagni ristoratori sta a me
far crescere la pianta della mia anima. Il
gesto di allontanarmi e di stare a
guardare quel mare limpido
mi ha riportato alla vita .
Trascorsi quasi un mese accanto a quel mare, a quello
scoglio ed a Tania e in quei momenti
“senza tempo” cambiai mentalità e trovai
il modo di trovare finalmente un po’ di me
stessa e della mia creatività lontano dalle mie passate giornate vuote e cupe. Tania mi ha insegnato
ad amare e a vivere per far si che si realizzi la mia identità, la mia unicità, non per diventare come gli altri, o
come ci vogliono genitori e fidanzati ma per diventare come vogliamo noi.
Infatti la mia identità
non è importante che sia un’identità “di successo”, così come
voleva mia madre, ma importa che mi
faccia sentire a posto “nei miei panni”.
Ora so guardare dentro di me e far vedere la Caterina che voglio
portare nel mondo.