mercoledì

Cambio vita scalando le marce e rallentando la corsa


A cosa serve uno stipendio con tanti zero se il tempo brucia la vita velocemente, come paglia secca?

E’ da un anno ormai che pensando a tutto questo sto rallentando. Tutto questo mi ha fatto scegliere di essere meno ricca e oberata di lavoro, per vivere meglio.
Sono convinta che non è una possibilità riservata solo a chi è ricco: cambiare vita è una scelta per tutti.
Ci sono molti libri, siti web ed esperienze che aiutano quanti desiderano intraprendere questo percorso. Io ho provato ed ora sono in cammino per scalare la marcia una dopo l’altra.
Non è stato facile arrivare fino a questo punto e non sarà facile proseguire.
Si va contro ad una cultura imperante che ti fa correre, alzarti presto alla mattina per andare a lavorare,… per poi correre e spendere e consumare e durante la pausa pranzo non si può fare pausa perché si devono leggere le e_mail per essere informata … ed andare alle feste… ed utilizzare ogni momento  per organizzare corsi ed uscite in discoteca per correre poi a casa e fare … e non si ha mai il tempo di fare.
Per anni è andata così  e mi sentivo stanca di correre … per guadagnare…  per poi spendere …  con l’obiettivo di essere felice … solo che non riuscivo a smettere perché per fare quel corso e per andare in quel posto mi servivano soldi e quindi dovevo andare a lavorare per poi… ecc… ecc. Come un criceto che continua a correre sempre sulla stessa ruota pensando di fare molta strada!

Poi ho deciso di cambiare.
 Ho deciso: poco lavoro = più vita. Ho smesso di correre per avere più soldi da spendere in cazzate, ed ho lasciato quel poco potere conquistato con tanta fatica.
Ora scrivo molto non per vendere libri ma perché amo scrivere.
Ora organizzo eventi non per guadagnare ma perché amo creare gruppo e solidarietà tra le persone.
Faccio tutto questo non perché sono ricca e quindi vivo di rendita permettendomi di fare cose senza essere pagata ma perché credo in un nuovo stile di vita.
Io consumo poco, vivo con poco, cerco l’equilibrio nel creare relazioni migliori che mi possano portare verso la felicità .
I soldi non sono un buon motivo per fare o per non fare. Ho bisogno di altre spinte. Io non sono ricca. Mi sono fatta l’orto per passione. Vivo con poco. Certo, non ho il conto in rosso ma io comunque non cambio il mio stile di vita per consumare prodotti che non mi servono e soddisfare bisogni che mi sono imposti dalla pubblicità ma che non mi appartengono.
 Cerco di vivere in libertà, perché non sono sicura di campare così tanto da poter sprecare il mio tempo per accumulare soldi per “comprare” la libertà quando sarò vecchia.   

Ho solo questa vita da vivere. La prossima chissà come sarà!

Yes They can… ed anche noi Italiani possiamo!

Non c’era una volta, ma adesso c’è: La ripresa sociale più bella che nasce dalla crisi più brutta.

Yes They can… ed anche noi Italiani possiamo!
Non è per semplice simpatia e interesse per tutto ciò che è inglese  o americano che spesso guardo le esperienze e le storie e racconti che provengono o dall’ America o dall’Inghilterra.
Certo che molte di queste esperienze di stili di vita diversi o di comportamenti resilienti sono presenti anche in Italia, ma oltre il nostro paese non sono più solo possibilità, rare eccezioni, sono esperienze che si ripetono nel tempo, vissute e godute ormai da molti anni.
Questo più che una naturale invidia dovrebbe suscitare la certezza che quel che sta nascendo anche da noi (o meglio nel nostro cemento) va nella direzione giusta: ciò ci permetterà di vivere una vita più felice!

Ecco uno spazio all’interno di questo blog dove ho cercato di inserire alcune descrizioni di possibilità, di una serie di link per approfondire questi nuovi stili di vita.
Purtroppo non se ne parla. Non nelle scuole, non alla TV, non al cinema, non sui quotidiani. Voglio parlarne io in modo chiaro e facendo una ricerca il più dettagliata possibile.
Nel pieno di una grande crisi, nutriamoci di fiducia, la fiducia che un nuovo modo di vivere e godere della nostra esistenza su questa terra esiste, qui e ora.
Non solo all’estero ma anche nella nostra cara amata Italia.
Per ora però, ora che sono in una fase di ricerca e costruzione non mi resta altro che immaginare!
Non mi resta altro che sognare ad occhi aperti, lasciandomi trasportare dal sogno, come in una favola che diventa realtà.
Non è più “C’era una volta…”, ma adesso c’è…
Yes They can… ed anche noi Italiani possiamo!

lunedì

Donne senza speranza

Oggi non riesco ad essere positiva.
Sono andata a prendere il treno per andare al lavoro ed ho incontrato, dopo un anno Paola, diventata ormai una donna senza speranza.
Sono salita in treno e mi sono seduta davanti a lei. Paola è una ragazza di trentacinque anni che avevo conosciuto nell’ azienda per la quale lavoro e ha perso il lavoro un anno fa. Sempre disponibile e gentile, professionalmente preparata una laurea in giurisprudenza uno stipendio che non arrivava nemmeno a mille euro e poi STOP. Aveva partecipato all’avviso di borsa di studio (che si ripeteva ormai da quattro anni) e come ogni anno l’aveva vinto.
L’anno scorso però, con la nuova amministrazione, sono cambiate le cose e il Direttore Generale ha deciso di rivolgersi ad una agenzia interinale. E’ l’agenzia che quindi ha assunto e lei che aveva da poco superato i trentacinque anni era troppo vecchia per essere assunta. I vantaggi del lavoro interinale per le imprese sono evidenti. L’ente ULSS è un’azienda come un’altra che segue le leggi di mercato.
 Le aziende che prendono in affitto il lavoratore, esternalizzano di fatto una serie di attività. Risparmiano sui costi amministrativi, sulla selezione e sulla formazione. Hanno maggiore flessibilità e possono chiudere il contratto alla scadenza. Di più. Possono rinnovare questi contratti per molte più volte di quanto non possano con dipendenti con contratto a termine. Pagano le agenzie a 60-90 giorni con vantaggi finanziari di “cassa”. Ai lavoratori interinali, poi, alcuni elementi, come premi produttività o benefit, non vengono pagati. E per chi ha compiuto 35 anni? Non c’è nessuna speranza di trovare lavoro perché non vengono assunti: troppo vecchi. Per Paola e per Loredana l’altra sua collega che a 50 anni è rimasta a casa come lei in seguito a questo appalto “molto vantaggioso per l’azienda” non c’è nessuna speranza.
E non sono sole. Luisa ha perso il lavoro due anni fa. Faceva la cameriera. Undici anni di turni massacranti, uno stipendio da fame e poi nulla. Paolo ha quasi sempre fatto l'operaio. Nel 2004 è stato licenziato dopo dieci anni a tempo indeterminato. La ditta ha portato la produzione all'estero. Da allora per lui, sei anni di contratti interinali mensili e chiamate con sms. Oggi neppure quello.

Paola mi racconta che da allora, le ha provate tutte. Migliaia di curriculum spediti, appuntamenti nelle piccole sedi delle agenzie interinali e contatti personali. Niente da fare. Eppure, non ha  i capelli grigi. E’ lontana dai cinquant'anni. Non ha superato neppure i quaranta. Anzi forse il problema è anche questo poiché alla sua “giovane età” potrebbe avere figli.
Scioccata la guardo incredula mentre lei mi racconta questo. “No cara Luigia, non ti devi stupire, ormai non si fa che sentire di donne che per lavorare in Italia devono rinunciare alla maternità, considerata un freno alla produttività ma soprattutto un “peso” economico che le aziende non si sentono di accollarsi. Effetto “solo” della crisi economica che ci attanaglia ormai dal 2008? Sicuramente c’entra, ma il problema è che la disoccupazione o l’inoccupazione (quella di chi ormai neppure ci prova più a cercarsi un lavoro) sono diventate la piaga del nostro Paese a livello giovanile e a livello soprattutto femminile.”

Ora per Paola, però, dopo aver perduto il lavoro, non c'è più modo di rientrare.
La sua è una storia comune. In soli due anni, tra il 2007 e il 2009, gli anni più acuti della crisi, l'esercito dei disoccupati è cresciuto di 438 mila persone. Di questi, quasi un terzo ha tra 35 e 44 anni. Se è vero che i giovani sono stati travolti dalla crisi, nella pancia inquieta dell'universo dei senza lavoro, sono sempre di più quelli che hanno 35 anni (il cinque per cento in più in tre anni). Non solo. Per loro, ritrovare un impiego è sempre più difficile.
Se non impossibile. Per le imprese sono “bruciati”. Preferiscono uno stagista. Da un lato i giovani non trovano lavoro, dall'altro ci sono le persone con un'età che si abbassa sempre di più che fanno altrettanta difficoltà a rientrare. Naturalmente più va avanti la crisi, e più queste difficoltà si allargano anche a quelle categorie definite garantite come i lavoratori a tempo indeterminato che hanno una scarsa scolarità o scarsa professionalità”.
Mia figlia (anche lei disoccupata in cerca di lavoro) mi dice “I primi ostacoli cominciano subito. Nonostante sia proibito per legge fare discriminazioni d'età, in molte offerte di lavoro sui giornali e sui siti web si indicano requisiti che riguardano gli anni dei candidati. Con limiti ancora più stringenti di quanto non fosse qualche tempo fa. In questi giorni una famosa catena di negozi di profumeria cerca degli store manager. Li assume, purché non abbiano compiuto i 35 anni. Un'agenzia di lavoro seleziona operatori di call center. Requisito: età tra 18 e 30 anni. Una società di sistemi informativi vuole dei programmatori con meno di 27 anni. Come se non bastasse, in molte di queste inserzioni viene riportata la dicitura: “Il presente annuncio è rivolto all’uno ed all’altro sesso ai sensi della Legge 903/77 e 125/91 non ci sono limiti di età e né di nazionalità”.
Quasi una beffa. Ma tanto è.
Quando un posto si libera le imprese pensano prima a chi ha meno anni. Poi, chissà.

Tutte queste situazioni hanno portato a incrementare la disoccupazione, e molti giovani come Paola, pur essendo preparati nel loro campo, non riescono a trovare posto.
L'agenzia interinale che non  ha assunto Paola si trova a Verona, quindi, in una realtà abbastanza ricca rispetto ad altre realtà italiane. La cosa che mi fa più imbestialire è che stiamo parlando della SANITA’. L' agenzia che ha vinto l'appalto per il lavoro interinale destinato agli uffici  per fare queste discriminazioni si beccano i finanziamenti con i soldi pubblici.
Infatti ricordo che questa ditta è vincitrice di una gara d’appalto per la fornitura di lavoratori interinali di un’Azienda ULSS Veronese.
Paola era  una delle collaboratrici dell’Az. ULSS, che da 4 anni veniva chiamata regolarmente ogni anno a lavorare presso l’ ULSS. Ora basta!
Nonostante fosse ormai in posizione utile in graduatoria, l’anno scorso non ha potuto firmare il contratto a tempo determinato che a questo punto della sua esperienza lavorativa con l’Agenzia sarebbe stato il naturale passo.

In questa selezione del mercato del lavoro concorrono molti fattori, alcuni strategici, altri umani. Le relazioni di amicizia o parentela, per esempio, fanno la differenza. Inoltre è rilevante l’accumulazione di capacità e esperienza. Racconta Paola “Ormai lavori e non ti pagano nemmeno. purtroppo ormai ti propongono soltanto lavori del cavolo, ad esempio qualche settimana fa trovai un' annuncio di un' associazione onlus che cercava ragazzi che costringessero le persone a mettere le firme per aiutare le persone del terzo mondo.
Ormai o si trovano lavori di questo genere oppure di porta a porta, call center oppure lavori che sono molto lontani ad esempio stasera dovrei andare a fare un colloquio a Montecatini che da Verona dista un sacco di km e che ci vuole un sacco di tempo ad andarci. Sono esperienze che ho gia' provato e so cosa vuol dire infatti una volta andai a fare un colloquio ad Arezzo per capo reparto e poi non mi hanno preso quindi ho speso soldi inutili per il biglietto del treno e la stessa cosa mi e' successa a Pisa, pensavo fosse un lavoro amministrativo invece si trattava di fare un casting come presentatrice e modella per la tv.
Ha ormai uno sguardo rassegnato quando dice “Spintarelle politiche non ne ho, anche perché le  agenzie alle quali mi sono rivolta sono tutte di una città dove non sono nata nè ho parenti ma dove mi sono trasferita dapprima per studiare, poi perché mi sono sposata e poi per sopravvivere lontana da un paesino asfissiante della Liguria.”. Poi con uno sguardo rassegnato “Penso di tornarci in quel paesino, almeno con i miei genitori riesco a sopravvivere”.
La sua amica seduta accanto a lei “Ho avuto anch’io  una cattiva esperienza a fronte di tanti magri risultati, con una ditta interinale. Mi candido come responsabile di sala (la ristorazione è il mio settore e ho circa 3 anni di esperienza tra stagionali e interinali) per un ristorante vegetariano. Mi contattano per un colloquio il giorno dopo e io cerco di essere impeccabile, vado anche in biblioteca a rinfrescare le mie conoscenze in merito a cucina vegana. Faccio il colloquio, complimenti a profusione, gli sciorino tutta la mia esperienza e la mia conoscenza in materia. Niente, il colloquio si è concluso dicendo "ma noi cercavamo qualcuno di più giovane" quando nell'annuncio non erano specificati limiti d'età, per altro anche mezzi illegali a quanto ho capito.”

Mia figlia mi racconta di Federica “E’ incinta e l’agenzia interinale non l’assume. Accade sempre a Verona”
Le donne che lavorano, nonostante sia stato appurato che rendono meglio dei colleghi uomini dal punto di vista produttivo (e pagate meno), vengono penalizzate non appena decidano di metter su famiglia, come testimoniano pratiche comuni quali le dimissioni in bianco e i contratti non rinnovati. Ma torniamo a Federica: “discriminata perché incinta”.
Del fattaccio si è resa responsabile un’agenzia interinale.
In buona sostanza, il diritto al lavoro sicuro le è stato negato per via della maternità.
“Discriminata perché incinta, politica e sindacato non se ne curano” Tuono io piena di rabbia.
Ormai Federica non prova neanche a  denunciare questo  vergognoso caso di discriminazione.
“E’ l’ennesimo caso di discriminazione delle donne, sul mondo del lavoro . E’ la realtà italiana!”.
“Non possiamo accettare che simili vergognosi comportamenti si ripercuotano ancora a spese delle donne.”  Insisto io.
 “Ma mamma! Ma in che mondo vivi? Questa è la nostra realtà!”
“Certo!” Continuo, ”Fatti i dovuti accertamenti, la politica ed il sindacato dovrà prendere una posizione netta e precisa affinché alle donne in maternità sia riservato un trattamento almeno paritario nel mondo del lavoro”.
Guardo mia figlia, orgogliosa della mia affermazione e la vedo sorridere quasi avessi raccontato una barzelletta.
“Innanzitutto dalla Regione, dagli Enti locali, dalle aziende dipendenti e dalle società partecipate deve venire un segnale forte nei confronti di tutte le imprese interinali: sia chiaro che mai potrà essere instaurato né mantenuto in piedi alcun rapporto di lavoro con quelle imprese che praticano la più odiosa delle discriminazioni. In questo senso la politica si deve impegnare, chiedendo che da subito sia ristabilito il diritto al lavoro di chi è stato discriminato e, per il futuro, attuando comportamenti che escludano dagli appalti pubblici le ditte che non offrono adeguate garanzie per le pari opportunità”.
A questo punto Elisa si fa una fragorosa risata per questa sua mamma che troppo spesso fa la parte del Don Chisciotte in gonnella.
E’ vero! E’ proprio da Don Chisciotte sperare che denunciare queste discriminazioni porti ad un buon fine per le future mamme, protagoniste loro malgrado di tutti quei casi di discriminazione giornalieri. Ma è ancor più da Don Chisciotte sperare di non dover più segnalare e vedere vicende analoghe.

Sentendomi fuori tempo, mi rassegno a stare zitta.

venerdì

Così siamo vittime dell'usura

Sono andata a trovare mia madre e farle gli auguri di buon anno e dopo tanti anni dalla morte di mio padre mi ha  raccontato quello che è stato il suo dramma.
"Prima i prestiti che non si riuscivano a coprire, poi il  finanziamento di alcuni “amici usurai” e dopo minacce e attentati. Alla fine tuo padre è stato costretto a vendere la cooperativa agricola per un pugno di mosche".
Assegni in bianco compilati dall’usuraio di turno. Minacce, intimidazioni, danneggiamenti. Interessi del 10% al mese, poi gli interessi sugli interessi. In una spirale senza fine, fatta non solo di paura, ma di rovina finanziaria, con la chiusura della cooperativa le banche che avrebbero presto proceduto ai pignoramenti, la depressione che non ha fermato gli “strozzini”, ma anzi ha incattivito la loro pressione. Una sensazione di abbandono da parte delle amicizie, delle istituzioni e della politica che rende il precipitare nel baratro ancora più amaro.
Accade in provincia di Verona, dove nel buco nero dell’usura era  finito mio padre imprenditore e commerciante agricolo.
“Dopo tanti anni solo adesso sono in grado di raccontare quello che è successo”.

Mia madre nel racconto fa molte pause, ma la voglia di incriminare e di far sentire la propria voce è forte.
Quando i debiti con le banche aumentavano e i soldi non erano più sufficienti a saldare i conti, entrarono in gioco un gruppo di 4 strozzini disposti ad “aiutare”.
A fronte di un prestito di molti milioni di lire, mio padre ha dovuto restituirne 4 volte tanto la somma ed ancora non bastavano.
Una situazione insostenibile, per lui che è stato costretto a vendere l'attività.
 Ma dalla banda di usurai, non si sfugge facilmente.
 «In estate subisce il primo incidente in auto, entra in depressione, anni di lavoro persi e davanti agli occhi solo devastazione».
«Non avevamo  più un soldo ».
Dopo l’ incidente, il nulla.
Un silenzio inquietante, «montava la paura, non pagando gli strozzini gli aveva dichiarato guerra». E a giugno un secondo incidente e si rompe (o gli rompono) un braccio.
«Riceve altre minacce, vogliono che venda la casa dove abitiamo io, lui, le tue sorelle e tuo fratello ma lui non vuole vendere tutto, non vuole buttarci in strada. Per il momento sembrava aspettare».
Sentendo mio madre gli usurai erano legati tra loro. Un gioco criminale a tre, mortale per mio padre.
 «Ha ricevuto anche minacce del tipo: se non paghi ti uccido tuo figlio». E le minacce proseguono: intrusioni nell’abitazione, gomme bucate, maltrattamenti. «Continuava a subire ogni cosa, anche perché la depressione aumentava, ogni singolo avvertimento lo buttava sempre più giù».
Passano i giorni e non si sente più nulla. Torna il silenzio agghiacciante di prima. «La solitudine uccide come la paura», mi racconta mia madre.
E gli usurai continuano a lavorare, mio padre no.
Dietro quegli usurai si possono celare interessi mafiosi? Di questo mia madre non ha la certezza,  non ha le prove, ma il dubbio c’è, in ogni caso è gente organizzata, che si mimetizza nel tessuto sociale. Invisibili e affabili.
«Poi, dopo la morte di tuo padre, sono arrivate le banche, che gli avevano prestato denaro per la cooperativa con la quale aveva fatto delle fideiussioni, nonostante sapessero della sua esposizione debitoria». E poi quelle banche, hanno chiesto il conto: hanno pignorato la casa.
La storia di mio padre è simile a tante altre storie di usura. La vittima è stata la mia famiglia oltre che lo stesso mio padre.
Per 10 anni ha perso soldi a usura. Con tassi del 10 per cento mensili, fino ad arrivare al 314% l'anno - 
perché ogni mese l'interesse si somma al capitale, e diventa fruttifero.
La fregatura degli interessi composti, si chiama, e bisogna mettere  tutti in guardia dal cascarci.
«Tenere in mano la situazione è impossibile, difficile è resistere e non ammalarsi».È determinata mia madre che ha deciso di raccontare la sua storia, ora la stimo molto più di prima.
Parla veloce, e fa lunghe pause per deglutire la saliva, ha un mare di rabbia da sfogare. «L’aspetto tremendo è che non solo si pagano gli interessi stabiliti, ma gli interessi degli interessi, diventa un circolo dal quale è impossibile uscire». Dietro la disperazione di una famiglia vittima dell’usura  c’è un’organizzazione criminale vasta e articolata, che opera non solo nelle città del sud ma anche al nord e provincie, e miete vittime su vittime. «Sono persone normalissime, discrete, utilizzano come punto di riferimento un luogo che è sempre lo stesso».
Tuo padre andava spesso a casa dei suoi aguzzini; delle persone “normali”, li definisce mia madre. «Se li  incontri per strada non diresti mai che sono dei boss dell’usura». Non sfoggiano bolidi, o simboli di potere particolari.
Sono degli invisibili, anche loro. «Il tono delle richieste con il tempo si facevano sempre più aspre quando ritardavo con i pagamenti».
«Come lui a Verona ce ne sono altri di imprenditori vittime che continuano a farsi succhiare il sangue, c’è un mondo dietro questa disperazione». L’imprenditore è stato adescato tramite un caro amico, poi quando i prestiti crescevano di entità è arrivato il pezzo grosso.
Gli chiedo cosa pensa di chi continua a credere che le mafie siano un problema marginale nel Veneto, la risposta non si fa attendere: «Ci sono zone della provincia dove lavorano solo loro». Alla politica e allo Stato tutto questo traspare, «le banche non gli hanno più dato i soldi per andare avanti, e si è trovato in mano alle organizzazioni mafiose». La paura di fallire rende schiavi. «E piuttosto che fallire si è rivolto a questa gente».

Trova tutto quello che è successo ingiusto, ammette. Oltretutto lo Stato gli ha pignorato la casa. «Se non fosse stato per le figlie non avrei mai denunciato, la burocrazia e l’umiliazione sono mortali per il coraggio».

Una vita strozzata

Interessi del 10 per cento a settimana, la casa ereditata dai genitori e quella comprata come investimento  già andate in fumo.  Ora era il momento della casa dove abitava ed era il momento di diventare sempre più poveri. Moglie casalinga, 3 figlie,  un figlio di 10 anni  e lui, un tempo uomo di successo, ed ora uomo fallito in mano agli usurai.  Il "giro" dei prestiti degli usurai è uno dei pochi “giri” che sono cresciuti con la crisi .

Quando le luci del paese cominciano ad affievolirsi e le serrande della cooperativa agricola si abbassano, arrivano loro. Sono anni ormai che gli strozzini lo minacciano.
Entrano, fanno un cenno di saluto, si avvicinano e si prendono tutto quello che possono. Lasciando solo l'indispensabile per sopravvivere fino alla settimana successiva quando si ripresentano.
Lui ormai irrimediabilmente finito nella morsa dell'usura stava per vendere l’ultima cosa che gli era rimasta: la casa dove abitava e che lui stesso aveva costruito con una vita di sacrifici.
Domani sarebbe stato il giorno della firma che avrebbe segnato la fine di tutto e buttato tutti sulla strada. NO! Non poteva fare questo! Solo lui se ne sarebbe andato lasciando almeno un po’ di speranza di ripresa.

Così è stato.
Non ha firmato  ed ha preferito morire.
Un male che non guarisce, quello dell’usura. Una strada senza ritorno od inversione di marcia  che nel Veneto  colpisce ogni anno almeno mille persone fra commercianti e imprenditori.
Ma le statistiche non raccontano nulla. Le statistiche non raccontano la sofferenza che ci sta dietro ad ogni fallimento.
Magari servono a disegnare una cornice che la crisi sta facendo diventare ogni giorno più nera, se è vero che un terzo di quelle persone - imprenditori, liberi professionisti, negozianti o artigiani che siano - che finiscono in "sofferenza" con la banca, sono costrette a chiedere aiuto agli strozzini.
A volte, proprio dopo avere raccolto il suggerimento dell'amico direttore di banca. «Non possiamo più aiutarti, ma conosco qualcuno che può darti una mano».
A volte, dopo essersi confidato con il proprio amico in politica.
Piegato dai debiti e terrorizzato da quello che gli avrebbe potuto riservare il futuro, succede che a volte si accetta la proposta. Il giro vorticoso di denaro raggiunge spesso quote impensabili. Con interessi che superano la soglia del 10 per cento a settimana. Assegni, titoli, cambiali, rate che scadevano e un buco da 1,5 miliardi di lire. Impossibile da ripianare se non mettendo in mano la cooperativa al cravattaro di turno.
In auto,  nei campi, nel suo studio,  mio padre è stato minacciato più volte: “Se provi a dirlo a qualcuno muori”.
Ma questo non gli faceva paura anzi ormai lo desiderava intensamente.
“Sappiamo tutto di te, dove vivi, dove vivono le tue figlie ed i tuoi parenti, li uccidiamo”.
Percosso ancora, gli avevano già rotto un braccio.

Se domani  non avesse saldato il conto gli avrebbero sequestrato il figlio di 10 anni, “per iniziare”.

Fu così che decise di farla finita e lunedì  19 luglio  invece di firmare si sparò in bocca e si lasciò andare in un’ aldilà che sperava migliore.
QUESTO BLOG NON E' UNA TESTATA GIORNALISTICA: VIENE AGGIORNATO CON CADENZA CASUALE A SECONDA DEGLI UMORI DELL'AUTRICE. PERTANTO NON E' E NON VUOLE ESSERE UN PRODOTTO EDITORIALE, AI SENSI DELLA L. 62 DEL 07.03.2001, BENSI' UN SEMPLICE DIARIO PERSONALE E CONDIVISO DI CHIACCHERE IN LIBERTA'. Ogni persona o luogo citato nei post/racconti del diario è da considerare frutto di fantasia e se corrisponde a persone o fatti accaduti ciò è puramente casuale.